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TitreIl libro del Cortegiano
AuteursCastiglione, Baldassare
Date de rédaction1513-1524
Date de publication originale1528
Titre traduit
Auteurs de la traduction
Date de traduction
Date d'édition moderne ou de réédition
Editeur moderne
Date de reprintEd. Amedeo Quondam et Nicola Longo, s.l., Garzanti, 2003.

(I, 52 ), p. 106-107

Per questo parmi la pittura più nobile e più capace d’artificio che la marmoraria, e penso che presso agli antichi fosse di suprema eccellenzia come l’altre cose; il che si conosce ancor per alcune piccole reliquie che restano, massimamente nelle grotte di Roma, ma molto più chiaramente si po comprendere per i scritti antichi, nei quali sono tante onorate e frequenti menzioni e delle opre e dei maestri; e per quelli intendesi quanto fussero appresso i gran signori e le republiche sempre onorati. Però si legge che Alessandro amò sommamente Apelle Efesio e tanto, che avendogli fatto ritrar nuda una sua carissima donna ed intendendo il buon pittore per la maravigliosa bellezza di quella restarne ardentissimamente inamorato, senza rispetto alcuno gliela donò: liberalità veramente degna d’Alessandro, non solamente donar tesori e stati, ma i suoi proprii affetti e desidèri; e segno di grandissimo amor verso Apelle, non avendo avuto rispetto, per compiacer a lui, di dispiacere a quella donna che sommamente amava; la qual creder si po che molto si dolesse di cambiar un tanto re con un pittore. Narransi ancor molti altri segni di benivolenzia d’Alessandro verso d’Apelle; ma assai chiaramente dimostrò quanto lo estimasse, avendo per publico comandamento ordinato che niun altro pittore osasse far la imagine sua.

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(I, 53), 109-110

Però, tornando al nostro proposito, penso che molto più godesse Apelle contemplando la bellezza di Campaspe, che non faceva Alessandro; perché facilmente si po creder che l’amor dell’uno e dell’altro derivasse solamente da quella bellezza; e che deliberasse forse ancor Alessandro per questo rispetto donarla a chi gli parve che più perfettamente conoscer la potesse. Non avete voi letto che quelle cinque fanciulle da Crotone, le quali tra l’altre di quel populo elesse Zeusi pittore per far di tutte cinque una sola figura eccellentissima di bellezza, furono celebrate da molti poeti, come quelle che per belle erano state approvate da colui, che perfettissimo giudicio di bellezza aver dovea?

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(I, 28), p. 62-65

[[7:voir aussi Apelle et nimia diligentia]] Allora il signor Magnifico, « Questo ancor, » disse, « si verifica nella musica, nella quale è vicio grandissimo far due consonanzie perfette l’una dopo l’altra; tal che il medesimo sentimento dell’audito nostro l’aborrisce e spesso ama una seconda o settima, che in sé è dissonanzia aspera ed intollerabile; e ciò procede che quel continuare nelle perfette genera sazietà e dimostra una troppo affettata armonia; il che mescolando le imperfette si fugge, col far quasi un paragone, donde piú le orecchie nostre stanno suspese e piú avidamente attendono e gustano le perfette, e dilettansi talor di quella dissonanzia della seconda o settima, come di cosa sprezzata. » « Eccovi adunque, » rispose il Conte, « che in questo nòce l’affettazione, come nell’altre cose. Dicesi ancor esser stato proverbio presso ad alcuni eccellentissimi pittori antichi troppa diligenzia esser nociva, ed esser stato biasmato Protogene da Apelle, che non sapea levar le mani dalla tavola. » Disse allora messer Cesare: « Questo medesimo diffetto parmi che abbia il nostro fra Serafino, di non saper levar le mani dalla tavola, almen fin che in tutto non ne sono levate ancora le vivande. » Rise il Conte e suggiunse: « Voleva dire Apelle che Protogene nella pittura non conoscea quel che bastava; il che non era altro, che riprenderlo d’esser affettato nelle opere sue. Questa virtú adunque contraria alla affettazione, la qual noi per ora chiamiamo sprezzatura, oltra che ella sia il vero fonte donde deriva la grazia, porta ancor seco un altro ornamento, il quale accompagnando qualsivoglia azione umana, per minima che ella sia, non solamente súbito scopre il saper di chi la fa, ma spesso lo fa estimar molto maggior di quello che è in effetto; perché negli animi delli circunstanti imprime opinione, che chi cosí facilmente fa bene sappia molto piú di quello che fa, e se in quello che fa ponesse studio e fatica, potesse farlo molto meglio. E per replicare i medesimi esempi, eccovi che un uom che maneggi l’arme, se per lanzar un dardo, o ver tenendo la spada in mano o altr’arma, si pon senza pensar scioltamente in una attitudine pronta, con tal facilità che paia che il corpo e tutte le membra stiano in quella disposizione naturalmente e senza fatica alcuna, ancora che non faccia altro, ad ognuno si dimostra esser perfettissimo in quello esercizio. Medesimamente nel danzare un passo solo, un sol movimento della persona grazioso e non sforzato, súbito manifesta il sapere de chi danza. Un musico, se nel cantar pronunzia una sola voce terminata con suave accento in un groppetto duplicato, con tal facilità che paia che cosí gli venga fatto a caso, con quel punto solo fa conoscere che sa molto piú di quello che fa. Spesso ancor nella pittura una linea sola non stentata, un sol colpo di pennello tirato facilmente, di modo che paia che la mano, senza esser guidata da studio o arte alcuna, vada per se stessa al suo termine secondo la intenzion del pittore, scopre chiaramente la eccellenzia dell’artifice, circa la opinion della quale ognuno poi si estende secondo il suo giudicio e ’l medesimo interviene quasi d’ogni altra cosa. Sarà adunque il nostro cortegiano stimato eccellente ed in ogni cosa averà grazia, massimamente nel parlare, se fuggirà l’affettazione; nel qual errore incorrono molti, e talor piú che gli altri alcuni nostri Lombardi; i quali, se sono stati un anno fuor di casa, ritornati súbito cominciano a parlare romano, talor spagnolo o franzese, e Dio sa come; e tutto questo procede da troppo desiderio di mostrar di saper assai; ed in tal modo l’omo mette studio e diligenzia in acquistar un vicio odiosissimo. E certo a me sarebbe non piccola fatica, se in questi nostri ragionamenti io volessi usar quelle parole antiche toscane, che già sono dalla consuetudine dei Toscani d’oggidí rifiutate; e con tutto questo credo che ognun di me rideria. »

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(I, 28), p. 62-65

Allora il signor Magnifico, « Questo ancor, » disse, « si verifica nella musica, nella quale è vicio grandissimo far due consonanzie perfette l’una dopo l’altra; tal che il medesimo sentimento dell’audito nostro l’aborrisce e spesso ama una seconda o settima, che in sé è dissonanzia aspera ed intollerabile; e ciò procede che quel continuare nelle perfette genera sazietà e dimostra una troppo affettata armonia; il che mescolando le imperfette si fugge, col far quasi un paragone, donde piú le orecchie nostre stanno suspese e piú avidamente attendono e gustano le perfette, e dilettansi talor di quella dissonanzia della seconda o settima, come di cosa sprezzata. » « Eccovi adunque, » rispose il Conte, « che in questo nòce l’affettazione, come nell’altre cose. Dicesi ancor esser stato proverbio presso ad alcuni eccellentissimi pittori antichi troppa diligenzia esser nociva, ed esser stato biasmato Protogene da Apelle, che non sapea levar le mani dalla tavola. » Disse allora messer Cesare: « Questo medesimo diffetto parmi che abbia il nostro fra Serafino, di non saper levar le mani dalla tavola, almen fin che in tutto non ne sono levate ancora le vivande. » Rise il Conte e suggiunse: « Voleva dire Apelle che Protogene nella pittura non conoscea quel che bastava; il che non era altro, che riprenderlo d’esser affettato nelle opere sue. Questa virtú adunque contraria alla affettazione, la qual noi per ora chiamiamo sprezzatura, oltra che ella sia il vero fonte donde deriva la grazia, porta ancor seco un altro ornamento, il quale accompagnando qualsivoglia azione umana, per minima che ella sia, non solamente súbito scopre il saper di chi la fa, ma spesso lo fa estimar molto maggior di quello che è in effetto; perché negli animi delli circunstanti imprime opinione, che chi cosí facilmente fa bene sappia molto piú di quello che fa, e se in quello che fa ponesse studio e fatica, potesse farlo molto meglio. E per replicare i medesimi esempi, eccovi che un uom che maneggi l’arme, se per lanzar un dardo, o ver tenendo la spada in mano o altr’arma, si pon senza pensar scioltamente in una attitudine pronta, con tal facilità che paia che il corpo e tutte le membra stiano in quella disposizione naturalmente e senza fatica alcuna, ancora che non faccia altro, ad ognuno si dimostra esser perfettissimo in quello esercizio. Medesimamente nel danzare un passo solo, un sol movimento della persona grazioso e non sforzato, súbito manifesta il sapere de chi danza. Un musico, se nel cantar pronunzia una sola voce terminata con suave accento in un groppetto duplicato, con tal facilità che paia che cosí gli venga fatto a caso, con quel punto solo fa conoscere che sa molto piú di quello che fa. Spesso ancor nella pittura una linea sola non stentata, un sol colpo di pennello tirato facilmente, di modo che paia che la mano, senza esser guidata da studio o arte alcuna, vada per se stessa al suo termine secondo la intenzion del pittore, scopre chiaramente la eccellenzia dell’artifice, circa la opinion della quale ognuno poi si estende secondo il suo giudicio e ’l medesimo interviene quasi d’ogni altra cosa. Sarà adunque il nostro cortegiano stimato eccellente ed in ogni cosa averà grazia, massimamente nel parlare, se fuggirà l’affettazione; nel qual errore incorrono molti, e talor piú che gli altri alcuni nostri Lombardi; i quali, se sono stati un anno fuor di casa, ritornati súbito cominciano a parlare romano, talor spagnolo o franzese, e Dio sa come; e tutto questo procede da troppo desiderio di mostrar di saper assai; ed in tal modo l’omo mette studio e diligenzia in acquistar un vicio odiosissimo. E certo a me sarebbe non piccola fatica, se in questi nostri ragionamenti io volessi usar quelle parole antiche toscane, che già sono dalla consuetudine dei Toscani d’oggidí rifiutate; e con tutto questo credo che ognun di me rideria. »

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(I, 49), 102-104

Allora il Conte : « Prima che a questo proposito entriamo, voglio, » disse, « ragionar d’un’altra cosa, la quale io, perciò che di molta importanza la estimo, penso che dal nostro cortegiano per alcun modo non debba esser lasciata addietro : e questo è il saper disegnare ed aver cognizion dell’arte propria del dipingere. Né vi maravigliate s’io desidero questa parte, la qual oggidí forsi par mecanica e poco conveniente a gentilomo; ché ricordomi aver letto che gli antichi, massimamente per tutta Grecia, voleano che i fanciulli nobili nelle scole alla pittura dessero opera come a cosa onesta e necessaria, e fu questa ricevuta nel primo grado dell’arti liberali; poi per publico editto vietato che ai servi non s’insegnasse. Presso ai Romani ancor s’ebbe in onor grandissimo; e da questa trasse il cognome la casa nobilissima de’ Fabii, ché il primo Fabio fu cognominato Pittore, per esser in effetto eccellentissimo pittore e tanto dedito alla pittura, che avendo dipinto le mura del tempio della Salute, gli inscrisse il nome suo; parendogli che, benché fosse nato in una famiglia cosí chiara ed onorata di tanti tituli di consulati, di triunfi e d’altre dignità e fosse litterato e perito nelle leggi e numerato tra gli oratori, potesse ancor accrescere splendore ed ornamento alla fama sua lassando memoria d’essere stato pittore. Non mancarono ancor molti altri di chiare famiglie celebrati in quest’arte; della qual, oltre che in sé nobilissima e degna sia, si traggono molte utilità, e massimamente nella guerra, per disegnar paesi, siti, fiumi, ponti, ròcche, fortezze e tai cose; le quali, se ben nella memoria si servassero, il che però è assai difficile, altrui mostrar non si possono. E veramente chi non estima questa arte parmi che molto sia dalla ragione alieno; ché la machina del mondo, che noi veggiamo coll’amplo cielo di chiare stelle tanto splendido e nel mezzo la terra dai mari cinta, di monti, valli e fiumi variata e di sí diversi alberi e vaghi fiori e d’erbe ornata, dir si po che una nobile e gran pittura sia, per man della natura e di Dio composta; la qual chi po imitare parmi esser di gran laude degno; né a questo pervenir si po senza la cognizion di molte cose, come ben sa chi lo prova. Però gli antichi e l’arte e gli artifici aveano in grandissimo pregio, onde pervenne in colmo di summa eccellenzia; e di ciò assai certo argomento pigliar si po dalle statue antiche di marmo e di bronzo, che ancor si veggono. E benché diversa sia la pittura dalla statuaria, pur l’una e l’altra da un medesimo fonte, che è il bon disegno, nasce. Però, come le statue sono divine, cosí ancor creder si po che le pitture fossero; e tanto piú, quanto che di maggior artificio capaci sono. »

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(I, 52), p. 108

 [[4:suit Apelle et Alexandre]] E come tanto pregiata fusse una tavola di Protogene che, essendo Demetrio a campo a Rodi, e possendo intrar dentro appiccandole il foco dalla banda dove sapeva che era quella tavola, per non abbrusciarla restò di darle la battaglia e cosí non prese la terra […].

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(I, 53), 110

Non avete voi letto che quelle cinque fanciulle da Crotone, le quali tra l’altre di quel populo elesse Zeusi pittore per far de tutte cinque una sola figura eccellentissima di bellezza, furono celebrate da molti poeti, come quelle che per belle erano state approvate da colui, che perfettissimo giudicio di bellezza aver dovea ?

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